Visione politica nella complessità – Political vision in complexity

(Marco Emanuele)

Ha ragione Alberto Negri (Manifesto, 8 ottobre 2023) a evocare la fine della retorica sulla questione palestinese. Ma, allargando lo sguardo a un mondo percorso dalla policrisi de-generativa e dalla guerra mondiale ‘a pezzi’, uscire dalla retorica significa ri-entrare nella politica. Ed è su questo punto che cominciano i problemi: di quale politica stiamo parlando ?

Osserviamo, da pensatori complessi e non da analisti geopolitici (troppo spesso focalizzati, per necessità, sui lineari movimenti di potere e senza sguardo nel profondo delle esperienze umane), un tema che abbiamo accennato in una precedente riflessione precedente riflessione: il Patriarca Pizzaballa (Avvenire, 8 ottobre 2023) parla di evitare le ritorsioni reciproche. Leggi, uscire dalla logica della vendetta.

Le ritorsioni e la vendetta sono l’esatto contrario della politica, ne rappresentano la morte. Così come della diplomazia. Se la retorica, mista a propaganda, continua a creare narrazioni che non si calano nelle questioni che riguardano la vita dei popoli (la dignità del popolo palestinese si specchia nella sicurezza di quello israeliano … al di là delle narrazioni che servono unicamente a chi voglia imporre propri meccanismi di potere …), le ritorsioni e il desiderio di vendetta nascono e si alimentano nelle e di continue radicalizzazioni. Così facendo, e insistendo, le mediazioni perdono senso, significato, possibile efficacia. Questo accade in Medio Oriente, non da oggi, ed è – purtroppo – una questione ‘esportabile’ in molti, se non in tutti, ‘dove’ del pianeta.

Su questo punto può maturare il punto politico (secondo complessità). Cambiano i contesti, e occorre adattare le analisi, ma la sostenibilità sistemica è necessità trasversale e transnazionale. La sostanziale carenza, per essere ottimisti, di visioni geostrategiche sta mettendo in pericolo – al contempo – la vita del pianeta e quella di ogni nostra ‘patria’. Limitarsi a volare alto, geopoliticamente e geoeconomicamente, non basta più. Così come non bastano più gli appelli morali. Ri-entrare nella politica, nell’interesse dell’umanità, significa assumersi la responsabilità di ri-costruire infrastrutture di socialità e di ri-comprendere le complessità delle periferie esistenziali che non sono solo i luoghi del dolore ma, prima di tutto, sono la casa della nostra vera libertà. Perché, se continuiamo nella irresponsabilità geopolitica di limitarci a competere per conquistare il centro dell’ordine mondiale, diventeremo schiavi della nostra (presunta) libertà. E schiavi della storia.

(English version) 

Alberto Negri (Manifesto, 8 October 2023) is right to call for an end to rhetoric on the Palestinian issue. But, broadening our gaze to a world traversed by de-generational polycrisis and world war ‘in pieces’, getting out of rhetoric means re-entering politics. And this is where the problems begin: what politics are we talking about?

Let us observe, as complex thinkers and not as geopolitical analysts (too often focused, by necessity, on linear power movements and without a glimpse into the depths of human experience), a theme that we mentioned in a previous reflection: Patriarch Pizzaballa (Avvenire, 8 October 2023) speaks of avoiding reciprocal retaliation. Read, get out of the logic of revenge.

Retaliation and revenge are the exact opposite of politics, representing its death. As for diplomacy. If rhetoric, mixed with propaganda, continues to create narratives that do not get down to the issues that affect peoples’ lives (the dignity of the Palestinian people is mirrored in the security of the Israeli people … beyond the narratives that only serve those who want to impose their own mechanisms of power …), retaliation and the desire for revenge are born and nurtured in and of continuous radicalisation. By doing so, and by insisting, mediations lose sense, meaning, possible effectiveness. This is happening in the Middle East, not just today, and is – unfortunately – an issue ‘exportable’ to many, if not all, ‘where’ on the planet.

On this point, the political point can mature (according to complexity). Contexts change, and analyses must be adapted, but systemic sustainability is a transversal and transnational necessity. The substantial lack, to be optimistic, of geostrategic visions is endangering – at the same time – the life of the planet and that of each of our ‘homelands’. Simply flying high, geopolitically and geo-economically, is no longer enough. Just as moral appeals are no longer enough. Re-entering politics, in the interest of humanity, means taking responsibility for re-building infrastructures of sociality and re-understanding the complexities of the existential peripheries that are not only the places of pain but, first and foremost, the home of our true freedom. Because if we continue in the geopolitical irresponsibility of merely competing to conquer the centre of the world order, we will become slaves of our (supposed) freedom. And slaves to history.

(riproduzione riservata)

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