Categories
Complex Research

Com-prendere l’umanesimo planetario e i percorsi del dialogo

(Marco Emanuele)

Scrivono Mauro Ceruti e Francesco Bellusci (‘Umanizzare la modernità’, Raffaello Cortina Editore, 2023, p. 86): L’umanesimo planetario è l’uscita da una concezione insulare dell’uomo, isolato dalla natura e dalla propria natura, e da una concezione dell’identità basata sulla contrapposizione amico-nemico. E’ l’ingresso nella coscienza del fatto che l’uomo non è isolato dalla natura e dalla propria natura, e del fatto che, come la multicrisi planetaria sta rivelando, le ‘nazioni’ sono parti della comunità di destino mondiale, ovvero della ‘famiglia umana’, che attende di divenire effettiva comunità di pensiero e d’azione.

L’umanesimo planetario è visione pragmatica perchè chiama ciascuno a operare una profonda e radicale metanoia. Il fondamento del nostro stare-nel-mondo è la relazione, che si sviluppa attraverso il dialogo, per costruire quel mosaico-mondo che non ha un centro ma infinite periferie esistenziali.

Alcune prime specificazioni sul dialogo. Qui evochiamo una sorta di ‘dialogo complesso’, da approfondire come essenza politica di un umanesimo planetario che deve fondarsi su basi di com-prensione in noi del grande mare nel quale siamo immersi e del quale siamo parte costitutiva ma non esaustiva. Parola spesso evocata con eccessiva superficialità, dialogo è – al contempo – il mezzo attraverso cui ci relazioniamo e il ‘respiro’ della relazione.

Il dialogo è complesso perché, inseparabile in sé, è dialettico e dialogale. In questo contributo cominciamo a riflettere sul dialogo dialettico che riguarda la necessità di mediazioni che nascono dall’incontro-confronto-scontro delle differenze; non può esistere, nella relazione, il principio di non contraddizione e l’auspicio, del tutto innaturale, dell’ a-conflittualità. Non contraddizione e a-conflittualità sono essenza dei sistemi totalitari, incompatibili con l’umanesimo planetario. La mediazione, allora, serve a de-radicalizzare le differenze, a renderle progressivamente aperte, a contaminarle per fecondarle reciprocamente. Nel nostro tempo, nel quale – per tante ragioni che occorre approfondire – l’identità ‘in quanto tale’ si vorrebbe a fondamento di sistemi da difendere anche oltre il limite dell’immunizzazione dall’ ‘esterno’, la mediazione è piuttosto praticata come compromesso, volendo pre-valere. Il che non porta nulla di buono.

La parte dialettica del dialogo, di mediazione, serve a dire alle ‘nazioni’, ai popoli raccolti intorno a una identità, che questa esiste e va salvaguardata ma non nei termini di una centralità assoluta rispetto al resto e non nei termini di una raggiungibile compiutezza. Troppe sono le tragedie a cui assistiamo, anche per mano democratica, di esportazione di modelli compiuti e non dialoganti.

Vediamo materializzarsi, nel progredire del dialogo dialettico, l’idea molto pragmatica di un mosaico-mondo fondato sulle relazioni e a-centrico. Ciò non vuol dire, per quanto ovvio, cancellare la competizione ma introdurre in essa elementi non più eludibili di sostanziale cooperazione. Mentre il compromesso tra differenze lavora in negativo a renderle ‘diversità’, correndo il rischio della reciproca dogmatizzazione fino alla inconciliabilità, la mediazione nel dialogo dialettico aiuta la conciliazione e sollecita la costruzione di un terreno comune, d’interesse e di visione, che è già percorso nel/del destino planetario.

(riproduzione autorizzata citando la fonte)