(Marco Emanuele)
Sono anni, ormai, che ci limitiamo a osservare il fenomeno delle crescenti disuguaglianze a livello ‘glocale’ (fenomeno, al contempo, territoriale/nazionale e globale). L’ultimo rapporto di Oxfam non rappresenta una novità, anzi.
La concentrazione della ricchezza, realtà particolarmente fastidiosa per chi non dispone del minimo necessario per vivere (val bene sottolineare che il tema del ‘lavoro povero’ è l’evidenza della ‘fragilità sistemica’ che stiamo vivendo), dovrebbe chiamare ciascuno di noi e le classi dirigenti a riflettere sul tema della ‘sostenibilità sistemica’.
Non basta più dire che, siccome c’è la policrisi, occorre un ripensamento complessivo. Se tale ripensamento è necessario, urge una trasformazione dei paradigmi culturali e operativi di riferimento. Perché policrisi non significa sommatoria di crisi ma interrelazione delle stesse: il mondo-in-tre-mondi che abbiamo più volte evocato significa questo.
Insomma, il grande assente è il pensiero geostrategico che non può che essere complesso. A esempio. Quando parliamo di climate action stiamo in realtà affrontando il tema di un capitalismo responsabile, non più predatorio e non più solo competitivo. Parliamo di migrazioni perché, in certe parti del mondo, i cambiamenti climatici rendono la vita impossibile. E parlando di clima dobbiamo affrontare il tema dei rischi per la salute globale. Parliamo di investimenti tecnologici in grado di aiutarci ad affrontare il ‘nuovo’ clima che è già tra noi. E gli investimenti tecnologici ci dicono di realtà nazionali che possono permetterseli e di altre che sembrerebbero condannate a dipendere dalla parte ricca del mondo. Ma se parliamo di tecnologia parliamo anche di uso malevolo delle stesse, dunque di sorveglianza, di violazione della privacy, di possibili (e molto concreti) attacchi alla sicurezza e alla resilienza dei processi democratici.
La geostrategia in scenari complessi è il nostro modo di lavorare per un ‘giudizio storico’ che sia realisticamente ‘profondo’. Le disuguaglianze sono solo una delle facce del mosaico di complessità che occorre conoscere per immaginare, con creatività, politiche adeguate in un terzo millennio percorso dalla compresenza di esplosione di potenzialità e di esplosione di rischi. Tra sfide nuove e altre già note (come le disuguaglianze), sembriamo non capire che è arrivato il tempo di intraprendere nuove vie. Il cambiamento non è sufficiente.
(English version)
For years now, we have observed the phenomenon of growing inequalities at the ‘glocal’ level (a phenomenon that is, at the same time, territorial/national and global). The latest Oxfam report is nothing new, on the contrary.
The concentration of wealth, a particularly annoying reality for those who do not have the minimum necessary to live (it is worth underlining that the theme of ‘poor work’ is evidence of the ‘systemic fragility’ that we are experiencing), should call each of us and ruling classes to reflect on the topic of ‘systemic sustainability’.
It is no longer enough to say that, since there is a polycrisis, an overall rethink is needed. If this rethinking is necessary, a transformation of our cultural and operational paradigms is urgently needed. Because polycrisis does not mean the sum of crises but their interrelation: the world-in-three-worlds that we have repeatedly evoked means this.
In short, the great absence is geostrategic and complex thinking. For example. When we talk about climate action we are actually addressing the issue of responsible capitalism, no longer predatory and no longer just competitive. We talk about migrations because, in certain parts of the world, climate changes make life impossible. And when talking about climate we must address the issue of global health risks. We are talking about technological investments capable of helping us face the ‘new’ climate that is already among us. And technological investments tell us about national realities that can afford them and others that seem condemned to depend on the rich part of the world. But if we talk about technology we also talk about malicious use of the same, therefore of surveillance, of violation of privacy, of possible (and very concrete) attacks on the security and resilience of democratic processes.
Geostrategy in complex scenarios is our way of working towards a ‘historical judgment’ that is realistically ‘deep’. Inequalities are just one of the faces of the mosaic of complexity that we need to know to imagine, with creativity, adequate policies in a third millennium characterized by the co-presence of an explosion of potential and an explosion of risks. Between new challenges and others already known (such as inequalities), we don’t seem to understand that the time has come to take new paths. Change is not enough.
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