(Marzia Giglioli)
I numeri che avremmo dovuto leggere. Una settimana prima dell’attacco di Hamas un sondaggio aveva fotografato la pace impossibile
Talvolta, i numeri raccontano meglio delle parole, e le statistiche ancora meglio, le verità nascoste Qualcuno avrebbe dovuto leggere quei numeri che erano segnali forti delle aspirazioni cancellate nella terra di Palestina. Porsi delle domande.
Pubblichiamo i dati di un sondaggio che Gallup aveva condotto una settimana prima dell’attacco di Hamas con una nota dell’editore. Il 24% dei palestinesi sostiene la soluzione dei due Stati, in calo rispetto al 59% del 2012; l’ 81% dei palestinesi non crede nella pace permanente; i giovani palestinesi non credono che due Stati vivano fianco a fianco.
Nota dell’editore: questo articolo rappresenta le opinioni dei palestinesi sulla base delle interviste del World Poll condotte tra luglio e settembre e conclusesi la settimana prima che Hamas lanciasse un attacco contro Israele. Il lavoro sul campo del sondaggio mondiale di Gallup in Israele avrebbe dovuto iniziare il 9 ottobre, ma la guerra ha impedito lo svolgimento del sondaggio.
L’84% dei palestinesi intervistati nei mesi e nelle settimane precedenti l’attacco di Hamas contro Israele ha affermato di avere poca o nessuna fiducia in Biden, compreso il 70% che ha affermato di non averne ‘assolutamente nessuna’.
Nei mesi e nelle settimane precedenti l’attacco del 7 ottobre, circa un palestinese su quattro (24%) che vive in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est ha dichiarato di sostenere una soluzione a due Stati al conflitto, con uno Stato palestinese indipendente esistente al fianco di Israele.
Il sostegno per una soluzione a due Stati tra i palestinesi si è più che dimezzato dal 2012, quando quasi sei su 10 (59%) sostenevano l’idea.
I palestinesi più giovani, sempre secondo il sondaggio Gallup, non sostengono più una soluzione che vedrebbe due Paesi coesistere fianco a fianco. Un palestinese su sei tra i 15 e i 25 anni ha dichiarato di sostenere la soluzione dei due Stati, rispetto al 34% dei palestinesi di età pari o superiore a 46 anni. Considerata la demografia giovanile dei Territori Palestinesi, dove il 69% della popolazione ha meno di 29 anni, lo scetticismo tra i giovani segna una svolta preoccupante.
Prima che scoppiasse la guerra, quattro palestinesi su cinque (81%) affermavano di non credere più che una pace permanente di qualsiasi tipo potesse mai prevalere, compreso l’84% che vive nella Striscia di Gaza. Settantacinque anni dopo la fondazione dello Stato israeliano, solo il 13% dei palestinesi conserva qualche speranza che un giorno la pace possa essere raggiungibile.
I palestinesi, però, non sono i soli a essere pessimisti. Quando Gallup ha posto la stessa domanda agli israeliani, per l’ultima volta nel 2017, il 30% credeva che sarebbe stato possibile, mentre la maggioranza (57%) ha affermato di no.
Bisognava leggere quei numeri che pesano come macigni. Bisognava comprendere.
Ma oggi che la pace sembra impossibile, bisogna avere il coraggio di credere in ciò che sembra inattuabile e che i numeri della non speranza possano essere riscritti. Mai come ora bisognerebbe travalicare il dolore e andare oltre gli orrori e le sofferenze. Costruire oltre le macerie di Gaza e i morti nei kibbutz.
In un’intervista di pochi giorni fa a Sky TV il filosofo Harari ha parlato di ‘guerra delle anime’. Su questo confine profondo bisogna ricostruire prima che le barriere diventino ancora più invalicabili. Pensare il ‘dopo’ possibile si può. Bisogna riprendere il filo dell’etica del ragionamento per ricostruire il futuro possibile senza ‘gabbie di appartenenza’: altrimenti si perde la direzione.
Lo ha scritto il filosofo della complessità Mauro Ceruti: ‘superare i limiti è fondamentale nel nostro essere soggetti storici. Ma spezzare i limiti del nostro agire ripetitivo chiede di re-istituire un’etica della responsabilità’.
(riproduzione autorizzata citando la fonte)