La parola che non rivela / The word that does not reveal

(Marco Emanuele)

(ispirato da: Raimon Panikkar, ‘Tra Dio e il cosmo’, Laterza, 2019) 

Molto spesso, le parole che pronunciamo, nel nostro tempo di crescente complessità, non rivelano la realtà.

Panikkar, nel libro citato, scrive di ‘prostituzione’ della parola quando la stessa diventa inutile (e dannoso) chiacchiericcio, semplicistico ‘bla bla bla’. La triste fine della parola nasce dal suo non essere rivelatrice, dal credersi ‘principio’: mentre, invece, al principio è il silenzio.

Questo tema, che merita adeguata trattazione, ci porta nel pieno della nostra de-generazione culturale. Le parole, della guerra e non solo, non ci aiutano a capire la profondità di ciò che accade ma si focalizzano sulla superficialità dei rapporti di potere e, di conseguenza, si pongono ‘al servizio’ (ovvero, servono) di una narrazione distorta della complessità del reale, di fatto negandola. Lo stesso accade, a esempio, quando si parla d’innovazione tecnologica, delle frontiere dell’intelligenza artificiale: le parole di assoluto appiattimento sull’esistente, cosi come quelle di un irriducibile antagonismo, ‘passano sopra’ e non colgono ciò che accade nella parte sommersa dell’iceberg, quella che non vediamo ma che c’è: l’oltre dei fenomeni umani e dei processi storici.

Il silenzio non è assenza di parola, la pace non è solo assenza di guerra, la libertà non è solo assenza di costrizione, lo sviluppo non è solo quantità misurabile di benessere materiale. Il significato delle parole si forma nella profondità esistenziale delle stesse, nella loro complessità. Le parole, in sostanza, non sono etichette.

La nostra ricerca complessa, nella traiettoria di un pensiero da re-istituire, cerca profondità, guarda dentro per percorrere l’oltre. Le propagande incrociate nelle quali siamo immersi sono gli strumenti della nostra ‘non comprensione’. Conoscere è ben diverso dall’essere informati: conoscere è con-naitre, nascere insieme nella realtà. Se, à la Panikkar, la parola è prostituita, il risultato è chiaro: l’impossibilità del dialogo per la relazione.

(English version)

Very often, the words we speak, in our time of increasing complexity, do not reveal reality.

Panikkar, in the book cited, writes about the ‘prostitution’ of the word when it becomes useless (and harmful) chatter, simplistic ‘blah blah blah’. The sad end of the word arises from its not being revelatory, from believing itself to be a ‘beginning’: while, instead, at the beginning it is silence.

This theme, which deserves adequate treatment, takes us into the midst of our cultural de-generation. The words, of war and not only, do not help us understand the depth of what is happening but focus on the superficiality of power relations and, consequently, place themselves ‘at the service’ of a distorted narrative of complexity of reality, effectively denying it. The same happens, for example, when we talk about technological innovation, about the frontiers of artificial intelligence: the words of absolute flattening of the existing, as well as those of an irreducible antagonism, ‘pass over’ and do not capture what happens in the submerged part of the iceberg, the one we don’t see but which is there: the beyond of human phenomena and historical processes.

Silence is not the absence of word, peace is not just the absence of war, freedom is not just the absence of constraint, development is not just a measurable quantity of material well-being. The meaning of words is formed in their existential depth, in their complexity. Words, in essence, are not labels.

Our complex research, in the trajectory of a thought to be re-instituted, seeks depth, looks inside to walk-in-beyond. The cross-propaganda in which we are immersed are the tools of our ‘non-understanding’. Knowing is very different from being informed: knowing is ‘con-naitre’, being born together in reality. If, à la Panikkar, the word is prostituted, the result is clear: the impossibility of dialogue for the relationship.

(riproduzione autorizzata citando la fonte – reproduction authorized citing the source)

Marco Emanuele
Marco Emanuele è appassionato di cultura della complessità, cultura della tecnologia e relazioni internazionali. Approfondisce il pensiero di Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. Marco ha insegnato Evoluzione della Democrazia e Totalitarismi, è l’editor di The Global Eye e scrive per The Science of Where Magazine. Marco Emanuele is passionate about complexity culture, technology culture and international relations. He delves into the thought of Hannah Arendt, Edgar Morin, Raimon Panikkar. He has taught Evolution of Democracy and Totalitarianisms. Marco is editor of The Global Eye and writes for The Science of Where Magazine.

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