L’auto-inganno della vendetta – The self-deception of revenge

(Marco Emanuele)

Le vendette portano guerra. E la portano nel modo peggiore, via ‘male banale’. Non ci addentriamo nelle ragioni geopolitiche, che molti hanno espresso e continuano ad approfondire, dell’ennesimo attacco al cuore d’Israele, ma ci interessa altro. Se la geopolitica cerca di spiegare alcune dinamiche che stanno emergendo, sostanzialmente il contrasto agli Accordi di Abramo e agli sforzi di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, non sono le dinamiche degli scontri di potere che possono aiutarci in una riflessione che riguarda, ancora una volta, il bisogno di vendetta.

C’è un sentimento profondo, lo vediamo ogni giorno anche dalle nostre parti, di crescente voglia di vendicare. Che sia il rispetto per ogni popolo e per ogni persona o per ogni tradizione, tutti – oltraggiati, minacciati, feriti o uccisi – cercano le ragioni del proprio ‘stare nella storia’. Farlo attraverso la vendetta significa perpetuare il ‘male banale’, lasciar vincere la linearità della separazione e della violenza autoreferenziali, e per questo ancora più cattive, inspiegabili dalla geopolitica, inspiegabili da una ragione che non faccia ‘metanoia’, inspiegabili se non attraverso un realistico sguardo profondo.

C’è un filo che lega le risposte del governo d’Israele, dei miliziani di Hamas, delle classi dirigenti iraniane, della comunità internazionale:  vendetta, attacco e difesa. E’ come se esistessero solo quelle tre parole, come se le sorti dei popoli del mondo (dagli ucraini, agli armeni, ai palestinesi, agli israeliani, agli iraniani) si risolvessero lanciando missili, preparando e attuando attacchi mirati, invadendo territori sovrani e via dicendo. E’ il circolo vizioso del ‘male banale’, quello che non è mai andato via dal palcoscenico della storia perché vive in noi, sempre più incapaci di arginarlo ma sempre più desiderosi di buttarlo fuori, di diffonderlo, di farlo penetrare nelle falde vitali dell’umano planetario.

Forse non ce ne rendiamo conto, ed è la cosa peggiore, ma – tecnologicamente avanzatissimi – stiamo arretrando nella preistoria della condizione umana. Se tutto è vendetta, tremenda vendetta, nulla è possibile. Eppure, da queste pagine, cerchiamo di percorrere il futuro già presente. Non lasciamo che vinca la scelta del ‘male banale’ ma proviamo a mitigarlo con il pensiero complesso e contribuendo a formare classi dirigenti che ri-scoprano il valore profondissimo di un’umanità che non può essere sacrificata sull’altare dei rapporti di potere.

(English version) 

Revenges bring war. And they bring it in the worst way, via ‘banal evil’. We will not go into the geopolitical reasons, which many have expressed and continue to explore, for yet another attack on the heart of Israel, but we are interested in something else. If geopolitics tries to explain some of the dynamics that are emerging, basically the opposition to the Abraham Accords and the normalisation efforts between Israel and Saudi Arabia, it is not the dynamics of power clashes that can help us in a reflection that concerns, once again, the need for revenge.

There is a deep-seated feeling, we see it every day even in our own part of the world, of a growing desire for revenge. Whether it is respect for each people and each person or for each tradition, everyone – outraged, threatened, injured or killed – seeks the reasons for their ‘being in history’. To do so through revenge is to perpetuate the ‘banal evil’, to let the linearity of self-referential separation and violence win, and for this reason even more evil, inexplicable by geopolitics, inexplicable by a reason that does not make ‘metanoia’, inexplicable except through a realistic deep look.

There is a thread that binds the responses of the Israeli government, Hamas militiamen, the Iranian ruling classes, and the international community: revenge, attack, and defence. It is as if only those three words existed, as if the fates of the world’s peoples (from the Ukrainians, to the Armenians, to the Palestinians, to the Israelis, to the Iranians) were resolved by launching missiles, preparing and carrying out targeted attacks, invading sovereign territories, and so on. It is the vicious circle of ‘banal evil’, the one that has never left the stage of history because it lives in us, increasingly unable to contain it but increasingly eager to throw it out, to spread it, to make it penetrate the vital strata of the planetary human.

Perhaps we don’t realise it, and that’s the worst thing, but – technologically advanced – we are retreating into the prehistory of the human condition. If everything is revenge, terrible revenge, nothing is possible. Yet, from these pages, we try to navigate the future already present. Let us not let the choice of ‘banal evil’ win, but let us try to mitigate it with complex thinking and by helping to form ruling classes that re-discover the profound value of a humanity that cannot be sacrificed on the altar of power relations.

(riproduzione riservata)

 

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