Le parole mancate diventano un pezzo irrecuperabile del mosaico di realtà, un’occasione perduta, uno schiaffo alla civiltà. Ciò che è accaduto a Eugenia Roccella e ad Antonella Viola al Salone del Libro di Torino è inaccettabile.
Perdere le parole è sempre un danno per tutti, non solo per chi ha la responsabilità di esprimerle ma anche per chi, d’accordo o meno, ha la responsabilità di ascoltare e, magari, di esprimere dissenso. E non è, come alcuni notano, solo questione di qualità della democrazia ma è, soprattutto, scelta di complessità.
Il tempo ‘infiammato’ nel quale viviamo vuole separazione chiara e netta tra i buoni e i cattivi, tra gli amici e i nemici. Non funziona così, la realtà è altro. Il conflitto che percorre le nostre vite, sano se riportato in un dialogo costruttivo perché re-istituente, viene volentieri esacerbato e portato all’eccesso. Atteggiamento tipicamente lineare, è male per tutti.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di una necessaria e urgente de-radicalizzazione. Se crediamo davvero in quella democrazia che abbiamo tanto dogmatizzato quanto non problematizzato, siamo davanti a un bivio e dobbiamo scegliere: o continuare sulla strada viziosa delle verità contrapposte o percorrere il cammino, ben più faticoso ma virtuoso, della possibilità di confronto nella volontà di dialogo.
Un dato è certo. Le parole confronto e dialogo vanno ripensate. Non sono solo auspici etici ma ben di più: sono parole di una cultura e di una politica davvero realistica, che non si perda parti indispensabili del mosaico di realtà e che dica a tutti, al di là delle appartenenze, che la trasformazione deve partire in noi, comunque la pensiamo.