Il “cambio di era” che stiamo vivendo è tanto interessante quanto rischioso. Calarci dentro ciò che accade è l’unico modo, realisticamente parlando, per elaborare scenari complessi.
Le storie sono ritornate con una potenza inattesa, fino a farci vivere una guerra nel cuore d’Europa, vecchio (in tutti i sensi) continente abituato da decenni a vivere in pace. Eppure non si è trattato di un “cigno nero”: in qualche modo, per chi voleva vedere, la guerra in Ucraina covava sotto la cenere. Così come molta brace è ancora accesa in luoghi fragilmente pacificati (si pensi ai Balcani).
Eppure, negli ultimi trent’anni abbiamo creduto dogmaticamente a un progresso lineare: tanto le cose si sarebbero sistemate, prima o poi. Fuori dal realismo, abbiamo pensato che i problemi della globalizzazione fossero crepe superficiali mentre, con buona pace dei sacerdoti della semplificazione, erano problemi strutturali e profondi.
Nel cambio di era, occorre stabilire “nuovi” dialoghi. Molte sono le reciproche responsabilità ma, pur coltivando il “giudizio storico”, a cosa serve rinfacciarsele ? Molti, dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, si erano illusi che, finalmente, si potesse entrare nel mondo libero: invece, proprio allora partì, consolidandosi negli anni successivi, la ricerca del nemico.
Oggi il mondo ci chiede di ripensare la macchina della competizione esasperata, della polarizzazione, della separazione. Il mondo ci chiede uno sguardo realistico. Se il male è e resta tale, ben pochi possono ergersi a “giudici della storia”. Riproporre, nel 2023, l’equazione “democrazie vs autocrazie” è culturalmente insostenibile e, pragmaticamente, mostra l’evidenza che gli interessi geoeconomici (non ci stupiamo) vincono sul resto.
C’è un problema non eludibile: al livello in cui siamo arrivati, la macchina che abbiamo costruito è sostenibile ? Mentre è in corso lo scontro tra retoriche contrapposte, tutto il resto dovrebbe indurci a rispondere negativamente. Chi, dunque, guarda realisticamente il mondo-che-è nel mondo-che-diventa ? Scegliamo il pensiero complesso e auspichiamo, insistendo, che si lavori a formare classi dirigenti consapevoli di dover cambiare via. Parlando di realismo, è nell’interesse di tutti.
(English version)
The ‘change of era’ we are experiencing is as interesting as it is risky. Plunging into what is happening is the only way, realistically speaking, to work out complex scenarios.
The stories have returned with unexpected power, to the point of making us live a war in the heart of Europe, an old (in every sense) continent that had been used to living in peace for decades. Yet it was not a ‘black swan’: somehow, for those who wanted to see, the war in Ukraine smouldered under the ashes. Just as many embers are still smouldering in fragile peaceful places (think of the Balkans).
Yet, for the past thirty years, we have dogmatically believed in linear progress: things would work out sooner or later. Out of realism, we have thought that the problems of globalisation were superficial cracks whereas, to the good grace of the priests of simplification, they were deep, structural problems.
In the changing era, ‘new’ dialogues must be established. There are many mutual responsibilities but, while cultivating ‘historical judgement’, what is the point of holding them against each other? Many, after the implosion of the Soviet Union, were under the illusion that, at last, we could enter the free world: instead, it was then that the search for the enemy began, consolidating in the years that followed.
Today, the world asks us to rethink the machine of exasperated competition, polarisation, separation. The world asks us for a realistic look. If evil is and remains evil, very few can set themselves up as ‘judges of history’. To re-propose, in 2023, the equation ‘democracies vs. autocracies’ is culturally unsustainable and, pragmatically, it shows the evidence that geo-economic interests (we are not surprised) win out over the rest.
There is an inescapable problem: at the level we have reached, is the machine we have built sustainable? While the clash between opposing rhetorics is ongoing, everything else should lead us to answer in the negative. Who, then, realistically looks at the world-that-is in the world-that-becomes? Let us choose complex thinking and insist that we work to form ruling classes aware that we have to change the way. Speaking of realism, it is in everyone’s interest.