Taiwan, un voto con ripercussioni sui rapporti Usa-Cina / Taiwan, a vote with repercussions on US-China relations

(Carlo Rebecchi)

Non ci sono soltanto lo scontro tra Hamas e Israele e la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, in questo periodo, a togliere il sonno a Joe Biden. Questo sabato, 13 gennaio, vanno alle urne i venticinque milioni di abitanti di Taiwan ed è probabile che il  presidente eletto diventi un nuovo grattacapo per l’inquilino della Casa Bianca. Se le urne confermeranno le indicazioni dei sondaggi e venisse eletto alla massima carica il vicepresidente uscente, Lai Ching-te, lo sforzo compiuto nello scorso novembre dallo stesso Biden e da Xi Jinping per rilanciare una più fattiva collaborazione tra Stati Uniti e Cina potrebbe essere a rischio. Lai Ching-te è infatti considerato più indipendentista della presidente uscente Tsai Ing-wen e questo non piace ovviamente a Pechino, che considera Taiwan ancora parte del territorio cinese da cui l’isola si è distaccata autoproclamandosi Repubblica di Cina.
Secondo il portavoce dell’ufficio cinese responsabile delle relazioni con Taiwan, “in caso di vittoria Lai Ching-te promuoverebbe attività separatiste che aumenterebbero le tensioni tra Pechino e Taipei”. La dichiarazione, fatta a poche ore dal voto, è servita per gli osservatori a sottolineare la determinazione con la quale Xi Jinping ha confermato, nel discorso di fine anno, l’ineluttabilità della riunificazione. Non una minaccia, sottolineano gli osservatori, ma una eloquente allusione al fatto che Pechino non deflette dalla sua linea e questo potrebbe avere conseguenze non solo sugli equilibri nell’Asia- Pacifico, data la posizione geopolitica dello Stretto, ma anche sull’insieme delle relazioni sino-americane.
L’elezione di Lai Ching-te, che Pechino ha definito in passato un “secessionista radicale”, farà aumentare le tensioni nella regione perché è certo che Pechino considererà il risultato elettorale come una “provocazione” e mostrerà tutta la sua forza militare, alludendo al fatto che possa diventare necessaria per la riunificazione. Davanti a questo, Taiwan rinnoverà la proprio richiesta agli Stati Uniti di ulteriori armamenti difensivi. Al che la Cina risponderà, come si è già visto in passato, con le consuete accuse all’ America di essere una minaccia per la pace. Tema, questo, sul quale c’è stato un evidente disaccordo tra Biden e Xi Jinping nell’incontro dei mesi scorsi in California.
Lai Ching-te, 64 anni, presidente del Partito democratico progressista, al governo da otto anni, in passato si è definito “un lavoratore politico per l’indipendenza di Taiwan” ma negli ultimi tempi si è mostrato più realista sostenendo che “non c’è alcuna volontà di proclamare formalmente l’indipendenza perché la nostra isola è già sovrana di fatto e lo status quo nello stretto serve l’interesse della stabilità mondiale”. Una scelta condivisa dal 32% della popolazione, mentre il 21,4 vorrebbe un graduale spostamento verso l’indipendenza. La scelta della sua vice – sarà Hsiao Bi-Khim, 52 anni – è invece una sfida aperta a Pechino: per tre anni ambasciatrice di fatto di Taiwan negli Stati Uniti, soprannominata “cat Warrior”, è nella “lista nera” della Repubblica popolare.
Hou Yu-ih, 66 anni, ex comandante di polizia, è il candidato più flessibile verso Pechino. Sostiene la necessità di “Difesa, Dialogo e De-escalation” e sarebbe pronto ad incontrare Xi Jinping. In corsa ci sarà anche un terzo partito: Ko Wen-jie, un chirurgo alla guida del Partito del popolo taiwanese. Per lui, «dopo il no a Pechino non c’è un altro passo, quindi bisogna pensare a come dialogare, senza obbedire ai diktat. Non dico che sarei il presidente migliore, ma il più adatto alla situazione» ha affermato.
(English version)
It’s not just the clash between Hamas and Israel and the war unleashed by Russia against Ukraine that are keeping Joe Biden sleepless in this period. This Saturday, January 13, the twenty-five million inhabitants of Taiwan go to the polls and it is likely that the elected president will become a new headache for the occupant of the White House. If the polls confirm the indications of the polls and the outgoing vice president, Lai Ching-te, is elected to the highest office, the effort made last November by Biden himself and Xi Jinping to relaunch a more effective collaboration between the United States and China could be at risk. Lai Ching-te is in fact considered more independent than the outgoing president Tsai Ing-wen and this obviously does not please Beijing, which still considers Taiwan part of the Chinese territory from which the island broke away and proclaimed itself the Republic of China. According to the spokesperson of the Chinese office responsible for relations with Taiwan, “in the event of victory Lai Ching-te would promote separatist activities which would increase tensions between Beijing and Taipei”. The declaration, made a few hours before the vote, served observers to underline the determination with which Xi Jinping confirmed, in his end-of-year speech, the inevitability of reunification. Not a threat, observers underline, but an eloquent allusion to the fact that Beijing does not deviate from its line and this could have consequences not only on the balance in the Asia-Pacific, given the geopolitical position of the Strait, but also on relations as a whole Chinese-Americans. The election of Lai Ching-te, who Beijing has defined in the past as a “radical secessionist”, will increase tensions in the region because it is certain that Beijing will consider the electoral result as a “provocation” and will show all its military strength, alluding to the fact that it may become necessary for reunification. Faced with this, Taiwan will renew its request to the United States for further defensive armaments. To which China will respond, as has already been seen in the past, with the usual accusations against America of being a threat to peace. This is a topic on which there was a clear disagreement between Biden and Xi Jinping in the meeting in recent months in California. Lai Ching-te, 64 years old, president of the Democratic Progressive Party, in government for eight years, in the past defined himself as “a political worker for Taiwan’s independence” but in recent times he has been more realistic, claiming that “there is no desire to formally proclaim independence because our island is already de facto sovereign and the status quo in the strait serves the interest of world stability”. A choice shared by 32% of the population, while 21.4 would like a gradual shift towards independence. The choice of his deputy – will be Hsiao Bi-Khim, 52 years old – is instead an open challenge to Beijing: for three years Taiwan’s de facto ambassador to the United States, nicknamed “cat Warrior”, she is on the “black list” of Bejing. Hou Yu-ih, 66, a former police commander, is the most flexible candidate towards Beijing. He supports the need for “Defense, Dialogue and De-escalation” and would be ready to meet Xi Jinping. There will also be a third party in the running: Ko Wen-jie, a surgeon who leads the Taiwan People’s Party. For him, «after the no to Beijing there is no other step, so we need to think about how to dialogue, without obeying the diktats. I’m not saying that I would be the best president, but the most suited to the situation” he said.
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