Si leggono interessanti editoriali sul ritorno, nel bene o nel male, delle religioni. Ci permettiamo ricordare che religioso è “ciò che lega”: nulla, nel complesso mondo delle relazioni, può non dirsi religioso.
Il problema storico che dobbiamo affrontare è, semmai, il ciclico ritorno della strumentalizzazione delle fedi religiose. Il Natale ortodosso assume contenuti diversi a Kiev e a Mosca, la morte del Papa emerito apre scenari nuovi per il Papa regnante, in Iran si processano e si condannano a morte persone per “inimicizia verso Dio”.
Va detto con chiarezza che Dio, quel Dio tanto evocato, non c’entra alcunché con le nostre tragiche vicende umane. Dio, per chi ci crede, è dentro di noi e non manca mai di mostrarci il limite del nostro agire, ciò che laicamente chiamiamo responsabilità. Forse è questo il vero tema con il quale l’uomo del terzo millennio deve confrontarsi: un tema che è tutto Politico.
Eppure, ancora una volta, si scrive e si parla del lato oscuro del religioso mentre dovremmo scrivere e parlare del lato oscuro dell’umano, soprattutto quando tenta di sostituirsi a un Dio che gli parla e che assume, di volta in volta, il volto del profugo, del morto o del ferito di guerra, della donna che vuole libertà, del migrante e così via.
Mentre la costruzione della speranza necessita di un approccio complesso e religioso (che lega o, se si preferisce, che intende superare la dominante voglia di separazione), in molti usano la fede per combattere, per separare, addirittura per parlare in vece di un Dio che qualcuno, attraverso una ragione non solo chiusa ma malata, pensa di essere.
Forse, all’inizio di un nuovo anno, dovremmo fermarci a riflettere sul fatto che le parole sono pietre. E che l’uomo ri-trova senso solo se svolge bene il suo mestiere. Lasciando stare il “mestiere di Dio”, mistero che ri-troviamo nel profondo della relazione, del dialogo, della mediazione, della pace.